6 settembre 2019
Cessione di azienda, inadempimento e clausola risolutiva espressa
Interessante pronuncia del Tribunale di Torino (16917/2017) resa il 31.7.2019 su di un reclamo in materia cautelare, anche per i suoi riflessi nella redazione dei contratti di cessione di azienda, e, in termini più generali, per l’utilizzo delle clausole risolutive espresse.
Nel contratto in questione le parti avevano convenuto espressamente l’applicazione “della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., che potrà essere invocata dalla parte cedente anche in ipotesi di ritardo o mancato pagamento, da parte della cessionaria, di 3 (tre) rate qualsiasi, anche non consecutive“.
Il Tribunale, nel prendere atto di tale pattuizione, l’ha confrontata con la più recente giurisprudenza della Cassazione (cfr. sentenza 23868/2015), secondo cui, “l’agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione“.
La pronuncia ha ritenuto dunque non sufficiente, ai fini della risoluzione di diritto del contratto, la sola verificazione dell’inadempimento previsto nella clausola risolutiva espressa, in quanto anch’essa deve essere interpretata (art. 1366 c.c.) ed eseguita (art. 1375 c.c.) secondo buona fede.
Il principio di buona fede diventa pertanto (…) canone di valutazione dell’effettiva esistenza di un inadempimento di uno dei contraenti e del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, dovendosi negare efficacia all’atto di esercizio del potere ex art. 1456 c.c. quando il mancato adempimento o ritardo nell’adempimento, pur previsto, sia oggettivamente di scarsa importanza.
Tale criterio da ultimo precisato è dunque tale da non poter essere convenzionalmente derogato dalle parti.
21 settembre 2017
Cassazione e Corte di Giustizia sono allineate: nei contratti “on line” il giudice si sceglie con un “click”
Importanti aggiornamenti alla disciplina dei contratti stipulati con un “click” arrivano dalla Cassazione, che si pone nel solco della giurisprudenza della Corte di Giustizia, con l’ordinanza a Sezioni Unite n. 21622/2017 del 19/09/2017.
Il tema è quello, sempre più frequente, di testi contrattuali che sono predisposti da uno dei contraenti e che sono approvati con un “click” dalla parte che conclude il contratto on line; si tratta, è bene sottolinearlo, di contratti c.d. B2B e dunque tra imprenditori.
In tali casi era in dubbio se tale forma di espressione della volontà fosse sufficiente e fosse manifestata in forma adeguata per l’individuazione del giudice competente. Più nello specifico, ci si chiedeva se questa forma di conclusione del contratto fosse in linea con le previsioni del Regolamento Bruxelles I bis (art. 23 par. 2), nella parte in cui prevede che la proroga della giurisdizione debba avvenire in forma scritta e che con tale previsione si intenda anche “...qualsiasi comunicazione elettronica che permetta una registrazione durevole della clausola attributiva di competenza“.
La Corte di giustizia nella sentenza Cars on the Web aveva riconosciuto che la parte che andava a concludere il contratto on line aveva la possibilità di stampare e conservare il testo sul quale andava ad esprimere il proprio consenso, concludendo per la piena adeguatezza di tale manifestazione della volontà contrattuale.
Opportunamente la Cassazione a Sezioni Unite con l’Ordinanza in commento, emessa all’esito di un regolamento di giurisdizione, ha confermato l’orientamento dei giudici di Lussemburgo in un caso in cui le condizioni generali di contatto erano accessibili con un rinvio al sito web della parte venditrice e dunque erano conoscibili e, secondo la Corte, si deve presumere che fossero anche salvabili e stampabili. Da tali elementi deriva pertanto la piena legittimità ed operatività delle clausole contrattuali.