8 luglio 2021
Violazione del diritto UE da parte della Cassazione: responsabilità dello Stato o del (suo) giudice?
È sempre intrigante esaminare pronunce che si confrontano con gli snodi cruciali del diritto. Quella in esame è l’ordinanza interlocutoria n. 19037/2021 della Terza Sezione Civile della Cassazione che si confronta con i problemi sul piano nazionale che derivano da un vistoso inadempimento dei giudici nazionali, che hanno omesso di effettuare un rinvio alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Le premesse consistono in una violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione, ove questo prevede che i giudici di ultima istanza abbiano non una semplice opzione, ma un vero e proprio obbligo, di effettuare un rinvio alla Corte di Giustizia qualora il caso sottoposto al loro esame comporti l’applicazione di una norma del diritto UE la cui validità o interpretazione sia dubbia. Nel nostro, caso si trattava di una (errata) applicazione della quarta Convenzione di Lomé che, per quanto rilevante, aboliva la tassazione sull’importazione di banane, confermata dalla Corte di Giustizia con la sentenza Camar del 2010.
Il riflesso sul piano nazionale di un mancato rinvio alla Corte di Giustizia, e dunque di una errata applicazione del diritto comunitario (e internazionale, nel nostro caso), è relativo al tipo di responsabilità che ne consegue e più precisamente se:
(i) sia configurabile una responsabilità dello Stato, sulla scorta delle sentenze Francovich e Kobler con una azione “ordinaria” nel confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ovvero
(ii) se ne derivi una responsabilità del magistrato, con la conseguente applicazione della normativa speciale italiana (l. 117/1988).
Opportunamente la Sezione III della Cassazione, considerati i contrasti in giurisprudenza e l’indubbia rilevanza della questione, ha rimesso ex art. 374 c.p.c. la questione al Primo Presidente, per l’eventuale rinvio alle Sezioni Unite, alle quali, auspicabilmente, spetterà l’ultima parola.
2 luglio 2021
Presunto inadempimento degli Amministratori di una srl e “business judgement rule”
Con sentenza 5546/21 dello scorso 28.6.21 il Tribunale di Milano è intervenuto sul tema del presunto inadempimento degli amministratori di una srl, precisando che “il merito delle scelte di gestione adottate dagli amministratori di società è tendenzialmente insindacabile in sede giudiziale (c.d. “business judgment rule”), salvo il limite della palese irragionevolezza di tali scelte, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti (Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409; Cass. 22 giugno 2017, n. 15470).
Si tratta di una valutazione da condurre necessariamente ex ante, non potendosi affermare l’irragionevolezza di una decisione dell’amministratore per il solo fatto che essa si sia rivelata ex post economicamente svantaggiosa per la società.
In particolare, non può essere ritenuto responsabile l’amministratore che, prima di adottare la scelta gestoria contestata, si sia legittimamente affidato alla competenza di figure professionali specializzate (Trib. Milano, 15 novembre 2018, n. 11476).”
Nel caso in esame, si discuteva della correttezza di alcuni atti gestori tra i quali una transazione; sul punto vi era stato un parere legale che aveva consigliato tale soluzione.
In particolare, secondo il Tribunale, “non può essere ritenuta negligente la condotta dell’amministratore o del liquidatore che, nell’adozione delle scelte di gestione, acquisisca prudentemente il giudizio di esperti del settore prima di decidere“.
15 giugno 2021
Esportazione di beni “dual use”: in Gazzetta il nuovo Regolamento
E’ stato pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea dello scorso 11 giugno 2021 l’attesa riforma della disciplina dei beni “dual use”, che entrerà in vigore il prossimo 9 settembre.
Come è noto agli operatori del settore, si tratta di una regolamentazione all’esportazione extra-UE di prodotti industriali che si caratterizzano per avere, almeno in astratto, un possibile duplice uso: civile e militare.
Il regolamento 2021/821, che sostituisce il regolamento 2009/428, ha come obiettivo di aggiornare la disciplina sull’esportazione di tali beni, anche attraverso una semplificazione delle procedure, estendendola ad esempio ad aree sensibili, quali l’esportazione di software e la prestazione di attività di assistenza tecnica.
L’art. 2 definisce quali prodotti a duplice uso sono “i prodotti, inclusi il software e le tecnologie, che possono avere un utilizzo sia civile sia militare e comprendono i prodotti che possono essere impiegati per la progettazione, lo sviluppo, la produzione o l’uso di armi nucleari, chimiche o biologiche o dei loro vettori, compresi tutti i prodotti che possono avere sia un utilizzo non esplosivo, sia un qualsiasi impiego nella fabbricazione di armi nucleari o di altri ordigni esplosivi nucleari“. L’allegato I del Regolamento contiene una elencazione dettagliata di tali prodotti.
Ricordiamo che un’esportazione effettuata in violazione delle norme del Regolamento comporta l’applicazione di severe sanzioni, definite autonomamente da ciascuno Stato dell’Unione.
10 maggio 2021
D. Lgs. n. 231/2001 e prescrizione della sanzione irrogata all’Ente
La Cassazione mette la parola fine al dibattito sulla prescrizione della sanzione irrogata all’ente, con la sentenza n. 31584 del 2021.
Annullando il provvedimento del GIP di Milano la Cassazione ha stabilito che alle sanzioni del D. Lgs. 231/01 si applica la medesima prescrizione prevista per l’illecito, come disposto dall’art. 22 del Decreto, e dunque in anni cinque dal passaggio ingiudicato della sentenza di condanna.
Viene così esclusa la possibilità di invocare la prescrizione decennale di cui all’art. 2953 cod. civ.
27 aprile 2021
“Center of main interest” e sede legale: la parola alle Sezioni Unite della Cassazione
Con Ordinanza n. 10356 del 20.04.2021 la Cassazione a Sezioni Unite precisa i termini dell’applicazione del Regolamento UE sull’insolvenza (n. 845/2015; osservando incidenter tantum che il ricorrente e la Corte di Appello non avevano compreso che andava applicato tale regolamento e non il precedente Reg. n. 1346/2000…).
La Corte molto opportunamente sottolinea che “in base al citato Regolamento (UE) n. 848/2015 vale la presunzione di coincidenza del COMI con la sede legale, nel senso che per le società, e le persone giuridiche in genere, si presume che il COMI coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria; … la presunzione opera se la sede non sia stata trasferita in altro Stato membro nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura d’insolvenza; in tal modo il Regolamento (UE) n. 848/2015 ha dato soluzione all’annoso tema del trasferimento della sede legale nel periodo ritenuto sospetto, che determina una inversa presunzione di fraudolenza“.
Nel caso in esame la sede era stata trasferita in altro Stato Membro 13 mesi prima del fallimento, e dunque non trovava applicazione la presunzione sopra indicata.
Tuttavia, secondo le Sezioni Unite, “è principio altrettanto generale che, ove, prima della domanda di apertura della procedura fallimentare, la società abbia trasferito all’estero la propria sede legale, la suddetta presunzione deve considerarsi vinta, e tale trasferimento ritenersi fittizio, permanendo, così, la giurisdizione del giudice italiano a decidere su quella domanda, allorquando nella nuova sede non sia effettivamente esercitata attività economica e (soprattutto) non sia stato ivi spostato il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa dell’impresa“.
21 marzo 2021
Vendite on line dall’estero ma con il dominio “.it”: quale è il giudice competente?
Un’impresa situata in uno Stato UE, attraverso un dominio “.it” vende sul territorio italiano i suoi prodotti: è competente il Giudice italiano per un’azione di contraffazione e di concorrenza sleale? Il Tribunale di Milano ha dato risposta affermativa al quesito, nella sentenza 706/21 del 1.2.21.
Secondo i giudici meneghini, al fine di accertare l’operatività sul territorio italiano di tale “on line shop” occorreva identificare la presenza di alcuni requisiti, tra i quali l’uso del dominio “.it”, il contenuto del sito integralmente in lingua italiana, con la possibilità di ottenere la consegna sul territorio italiano.
Pertanto secondo il Tribunale esso è competente sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia (caso L’Oréal), ove si è stabilito che “ove ….si individuasse la competenza ora nel luogo dell’inserzionista, ora del server, si renderebbe eccessivamente onerosa – se non addirittura impossibile – per la vittima dell’illecito l’individuazione della competenza e consentirebbe agli autori degli stessi di sottrarsi alla competenza giurisdizionale italiana, pur operando sul mercato italiano, quando avessero sede all’estero (…) si creerebbe infatti un grave vulnus che pregiudicherebbe l’efficacia delle norme, per quanto rileva, del diritto industriale e delle direttive europee, qualora fosse consentito l’uso di segni distintivi contro la volontà del titolare del diritto, mediante offerta o pubblicità su internet destinata a consumatori che si trovassero sul territorio dello stato, per il solo fatto che il server o il prodotto si trovi in uno stato terzo“.
12 febbraio 2021
Webinar sui rapporti tra l’Unione europea e il Regno Unito dopo la “Brexit”
Molto interessante il webinar organizzato dalla AISDUE e disponibile su YouTube sull’assetto dei rapporti con il Regno Unito dopo la Brexit.
Relatori ben preparati e dibattito denso di spunti. I problemi certo non mancheranno, e la complessità dei rapporti sviluppatisi dall’adesione alle Comunità europee, avvenuto il 1° gennaio 1973, non potrà essere risolta in breve tempo.
18 dicembre 2020
Nuovi Regolamenti UE su assunzione delle prove e notifiche all’estero
Sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L. 405 del 2 dicembre 2020 il Regolamento n. 2020/1783 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020 relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale e il Regolamento n. 2020/1784 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2020 relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.
Con i due atti, tenendo conto della stratificazione di modifiche che si sono succedute nel corso degli anni, sono stati codificati i cambiamenti in un testo aggiornato, di più facile lettura.
I due testi saranno applicabili dal 1° luglio 2022.
Quanto alle notifiche, l’elemento interessante è che le comunicazioni avranno luogo attraverso un sistema informatico decentrato attraverso con la soluzione interoperabile e-CODEX.
22 novembre 2020
Crowdfunding: arrivano le norme uniformi europee
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il nuovo Regolamento n. 2020/1503 sul crowdfunding, strumento regolatorio quanto mai necessario data la necessità di armonizzare tale istituto nell’ambito dell’Unione Europea.
Il crowdfunding (in italiano traducibile come finanziamento collettivo) rappresenta una forma di finanziamento per start-up e PMI alternativo ai canali tradizionali, in cui oltre al soggetto finanziatore e all’imprenditore troviamo un soggetto in posizione intermedia (intermediario); per tali soggetti l’UE ha previsto la necessità di iscrizione in un apposito registro tenuto dall’EMSA (European Securities and Markets Authority).
20 ottobre 2020
Preliminare di acquisto di partecipazioni sociali ed emersione di sopravvenienze passive prima del trasferimento
Il Tribunale di Milano, sez. imprese, con la sentenza 3852/20 del 2.7.2020 è nuovamente intervenuto sul tema della riducibilità del prezzo pattuito in sede di preliminare di cessione di partecipazioni sociali.
Il Tribunale ha premesso che “In tema di vendita di azioni o quote di società… è stato ripetutamente affermato il principio secondo il quale la consistenza patrimoniale della società rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente: invero, la cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto “immediato” la partecipazione sociale e solo quale oggetto “mediato” la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta.
Ne deriva che il difetto di qualità – previsto dall’art. 1427 c.c., come causa di annullamento, e dall’art. 1497 c.c., come causa di risoluzione del contratto – in relazione alla compravendita di partecipazioni sociali, essendo queste attributive di un insieme di diritti ed obblighi in relazione a una società, può attenere unicamente alla “qualità” dei diritti e obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto esso non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti, in grado di assumere rilievo giuridico solo ove, in relazione alla consistenza economica della partecipazione, siano state previste esplicite garanzie contrattuali.
In altre parole, vi è differenza tra vendita dell’azione – cui consegue l’acquisto della status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella società – e vendita dell’intero patrimonio o di singoli beni della società: solo in quest’ultimo caso oggetto della vendita sono i beni della società (e, quindi, non possono non trovare applicazione le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale); nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all’oggetto immediato e, cioè all’azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l’acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia, frutto dell’autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore dell’azione al valore dichiarato del patrimonio sociale (nei suddetti termini, Cass. nn. 26690 del 2006 e 16031 del 2007; cfr., anche, Cass. n. 10648 del 2010) (così, da ultimo, Cass. n.17948/2012, in motivazione)”.
Nel caso di specie il contratto prevedeva la rimodulazione del prezzo, solo al ribasso, in presenza di determinate circostanze (sopravvenienze passive e passività non contabilizzate), sicché l’eventuale errore di valutazione del valore della società resta escluso dagli eventi rilevanti ai fini dell’annullamento.
Infatti (Cass. III, 16031/2007) «il difetto di qualità della cosa venduta, ai fini dell’annullamento del contratto per errore … deve attenere unicamente alla “qualità” dei diritti ed obblighi che in concreto la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto questo non attiene all’oggetto del contratto, ma alla sfera delle valutazioni motivazionali delle parti, e quindi può assumere rilievo giuridico solo ove siano state previste esplicite garanzie contrattuali circa la consistenza economica della partecipazione».
Importante anche l’ulteriore precisazione per cui per sopravvenienza passiva si intende, infatti, non qualunque elemento negativo del reddito, ma una componente straordinaria negativa del reddito, ovvero una passività che derivi da operazioni straordinarie o da eventi eccezionali.
In pratica, al verificarsi della sopravvenienza, l’azienda è costretta a registrare nuovi costi o passività, che si sommano a quelli ordinari e che riguardano eventi non preventivati, che non hanno a che fare con la gestione ordinaria dell’attività, la cui natura può essere imprevedibile, occasionale o accidentale.